Nei 150 anni di Roma Capitale c’è anche il 150° della perdita della Chiesa del potere temporale. L’intreccio tra Roma e la Chiesa di Roma e inscindibile dalla storia della città di questi 150 anni. Per questo ho letto con interesse il libro di Andrea Riccardi e di Marco Impagliazzo Roma. La Chiesa e la città nel XX secolo (San Paolo edizioni 2021), nell’ambito di una collana promossa e voluta dalla Diocesi.
Condivido molte parti del libro e soprattutto la tesi di fondo: la formazione di Roma Capitale ha fatto bene alla chiesa.
Ha fatto bene perché ne ha consentito l’evoluzione e l’emancipazione da alcune “zavorre” del governo temporale. La Chiesa si è liberata della contraddizione tra costruire la “Città Santa” e il governo della città dei vivi.
La fine di quello che gli autori definiscono il regime teocratico è stato l’inizio di un processo di liberazione della chiesa di Roma.
Fa riflettere che questo processo di cambiamento della chiesa sia stato lungo e lento se, come dicono gli tessi autori, giunge a compimento solo negli anni Settanta con il papato di Paolo VI. Ma il mio stupore forse dipende da una scarsa conoscenza dei meccanismi della chiesa e della curia. Sottolineo l’importanza di alcuni personaggi che giungono al momento opportuno di questa evoluzione e ne diventano protagonisti: Don Franzoni e Don di Liegro, entrambi parroci.
Un punto di approdo già preparato da Papa Giovanni XXIII con la distinzione tra “Roma Capitale del Cattolicesimo” e “Roma delle antiche rovine e del vortice della vita civile”: è il tema delle due Rome.
Se Papa Giovanni XXIII rappresenta la Roma che si apre, il Papa che vive in pieno le strade della città, in qualche modo anche oggi Papa Francesco sembra alludere a quell’atteggiamento, bisogna però arrivare al Papa Montini per un cambio che vada più in profondità.
La Roma di Paolo VI è la Roma che viene riformata e per questo essa è individuata come l’approdo di un processi di cambiamento che iniziò con la breccia di Porta Pia. Gli anni Settanta sono gli anni di una congiuntura particolarmente importante a livello politico nazionale, nella chiesa e nella città.
Oggi tutto questo manca e anche questo è uno dei motivi della crisi di Roma.
L’impressione che ho ricavato dall’ultima parte del libro è che il processo di cambiamento di questi quasi 50 anni ha preso una nuova fase caratterizzata da momenti di forte contraddizione: tentativi di fughe in avanti ma anche di ritorni indietro. In questo senso lo smarrimento della Chiesa e le tensioni tra le diverse tendenze ci stanno restituendo anche una città smarrita e incerta nel suo destino. Potremmo forse concludere che se è vera la tesi iniziale che la separazione tra la città e la Chiesa è servita alla Chiesa, oggi la separazione disorienta la Chiesa e la città. Non ci manca una chiesa che esercita il potere temporale e non ci manca una città Santa: ci manca quell’intreccio fatto di missione, testimonianze e solidarietà che può costruire il tema della città nuova, quella che si meraviglia dell’esistente.
Ecco, mi piacerebbe capire come la città di Roma e la chiesa di Roma possano tornare a meravigliarsi di quello che c’è e così re-incantare il presente in vista del futuro.
Forse lo sforzo di ricostruire la chiesa di Roma, che mi pare costituisca un forte impegno in questo frangente anche per il Papa, potrebbe arricchirsi di questa tensione:
non solo mappare, ma tornare a meravigliarsi di quello che c’è per cambiarlo, sia nella chiesa che nella città